Storia

Sull’origine del nome di Bollate esistono due orientamenti. L’uno individua nella “beola” – l’antico nome celtico della betulla – la radice di “Bollate”, secondo una chiara allusione ai vasti boschi di betulle della zona; l’altro accredita la tesi che il nome “Bollate” derivi da “bola” o “bula”, un vocabolo di orgine latina che indicava le pozze d’acqua, con riferimento ai numerosi fontanili del territorio.

Probabilmente sede, in età romana, di un insediamento militare fortificato circondato da una cinta muraria e attraversato da un corso d’acqua, il Pudiga, Bollate subì una profonda trasformazione tra il VII e il IX secolo, quando divenne una delle Pievi più importanti della provincia settentrionale milanese. Il primo documento in cui viene citata la Pieve di Bollate è una pergamena del 1039, conservata presso l’archivio parrocchiale, che riguarda la donazione di un terreno alla Chiesa prepositurale di San Martino da parte del prete Bezo. La Pieve di Bollate era integrata nel più vasto contado della Martesana, che sostenne la lotta dell’imperatore Federico Barbarossa contro Milano. Tra i valorosi soldati impegnati in battaglia vi fu anche Ambrogio da Bollate, che trovò la morte nel 1161 nei combattimenti ingaggiati a porta Vercellina. E tuttavia, pochi anni dopo, il contado della Martesana e Bollate si impegnarono a difendere il capoluogo lombardo: i bollatesi parteciparono alla celebre battaglia di Legnano, nel 1176.

La vita degli abitanti si svolgeva in prevalenza nei campi che circondavano il borgo, difeso da mura e torrioni; campi di “fromento, miglio, panico, segale, orzo, scandella, avena, fave, ciriege, lino, rape, fagiuoli, ceci, lenticchie, lentini, veccia”. I laboriosi contadini di Bollate si dedicavano anche alla coltivazione della vite, alla produzione del miele e all’allevamento di bovini e cavalli, pecore e asini. E ricevettero la visita di importanti personaggi del tempo: il canonico Rinaldo che guidò Dante nell’elaborazione della terza cantica della Divina Commedia, Francesco Petrarca, il predicatore francescano Bernardino da Siena e Leonardo da Vinci. Il 25 luglio 1573 giunse a Bollate anche Carlo Borromeo. Sul finire degli anni Settanta del Cinquecento, la contea di Bollate divenne un feudo del nobile spagnolo don Jorge Manriquez de Lara; un vasto feudo – poi marchesato – direttamente dipendente dal ducato di Milano.

Fu proprio nei primi decenni del Seicento che assunse la sua attuale fisionomia Villa Arconati, una residenza di campagna che sorge nella parte settentrionale del territorio bollatese, non lontano dalla Strada statale Varesina. Prima il conte Galeazzo Arconati, poi Giuseppe Maria Arconati, discendenti da una vecchia famiglia meneghina in cerca di nobilitazione, ampliano la struttura dell’antica villa, ne arricchiscono le collezioni e il patrimonio bibliotecario, gli arredi e le decorazioni, ne abbelliscono i giardini e il parco. A Castellazzo vengono collocati i frammenti del monumento funebre a Gastone di Foix, duca di Nemours e nipote di Luigi XII, realizzato dallo scultore Agostino Busti detto il “Bambaia”, e la statua di Pompeo ai piedi della quale – si dice – morì Giulio Cesare. Nella biblioteca della Villa sono conservati anche numerosi appunti di Leonardo da Vinci, e soprattutto il famosissimo il Codice Atlantico, donato dagli Arconati alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, dov’è tuttora custodito. Jean Gianda riordina il parco della villa e Marc’Antonio Dal Re esegue una serie di raffinate incisioni; i fratelli Bernardino e Fabrizio Galliari affrescano con il “Ciclo di Fetonte” il salone delle feste della nobile dimora, visitata dal re di Spagna e duca di Milano Filippo IV e, in epoca successiva, da Ugo Foscolo e da Antonio Canova.

Il XVIII secolo e le riforme dell’età di Maria Teresa d’Austria si fecero sentire anche a Bollate. La vita quotidiana e l’attività agricola degli abitanti vennero riorganizzate e incominciarono a gravitare attorno alla “corte”; quelle stesse corti che, negli ultimi anni del Settecento, saranno invase dai soldati dell’esercito napoleonico, portatore – sulla punta delle baionette – dei “Principi dell’Ottantanove” di libertà, di uguaglianza e di fraternità. La corte – e su tutto il territorio bollatese se ne contavano parecchie – divenne progressivamente il centro della vita sociale, il luogo privilegiato della socialità dove si svolgevano le feste e si celebravano le ricorrenze religiose di una vita quotidiana i cui ritmi erano ancora scanditi dalla semina e dal raccolto, ma anche dalle celebrazioni per il santo patrono e compatroni. Questa dimensione della socialità era percepibile sino a pochi decenni fa, almeno sino agli anni Cinquanta del Novecento quando a Bollate si completò l’offensiva dell’industrializzazione incominciata all’indomani dell’unificazione nazionale (1861) e, contemporaneamente, Bollate fu la meta di una vasta immigrazione. La lenta e progressiva metamorfosi del vecchio borgo agricolo portò, sul finire dell’Ottocento, alla nascita delle prime industrie, grazie ai finanziamenti stranieri, e allo sviluppo delle ferrovie che resero più facili i collegamenti, prima lenti e radi, con il capoluogo; e anche Bollate venne raggiunta dalle linee telefoniche e dalla illuminazione elettrica.

Il Novecento fu un secolo di grandi avvenimenti e le due grandi guerre mondiali funestarono la vita cittadina con episodi di particolare violenza ancora incisi nella memoria delle persone più anziane.

Nel 1917 una terribile inondazione distrusse le corti e le stalle; l’anno successivo una violenta esplosione nel polverificio Sutter & Thevenot di Castellazzo provocò 59 morti e molti feriti.

Tra le due guerre mondiali, nacque l’attuale nosocomio cittadino, l’ospedale “Caduti Bollatesi” costruito con il lascito di don Luigi Uboldi.

Venne approvato lo stemma comunale a righe bianco-rosse, sovrastato da una grossa lettera “B”. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale la ferrovia fu ripetutamente oggetto dei mitragliamenti e dei bombardamenti che causarono molte vittime tra la popolazione civile: l’episodio più tragico fu il bombardamento aereo della Vignetta, avvenuto il 30 gennaio 1945. Sui vari fronti del secondo conflitto mondiale Bollate contò 86 vittime e 50 mutilati. Proprio in questi anni si trasferì in una casa di via Magenta la poetessa lodigiana Ada Negri.

Sin dagli anni Trenta, la socialità bollatese si era ricostruita attorno alle cooperative che alimentarono i ranghi della resistenza locale contro il regime fascista.

Si giunge così alle soglie del presente, con una “città” (titolo che Bollate s’è guadagnata nel corso degli anni Ottanta) che, se da un lato si è trovata a gestire i problemi derivanti dagli incalzanti ritmi dell’industrializzazione e dalla necessità di accogliere sempre più massicci flussi migratori, dall’altro ha assistito al lento e progressivo declino delle “corti” e della civiltà rurale. Non priva di significativi e profondi risvolti nei ritmi e nei tempi della vita quotidiana, questa profonda mutazione economica e territoriale ha portato a una trasformazione del tessuto e dell’organizzazione sociale che avevano caratterizzato la storia di Bollate per almeno tre secoli.

Il volto della città, non più distinguibile dalla metropoli, della quale può essere considerata una propaggine nord-occidentale, è cambiato radicalmente; ma ai giorni nostri Bollate sta vivendo l’ulteriore e profonda trasformazione generata dalla società postindustriale.

 

Bibliografia:

Lodovico De Cesare, Bollate Un territorio e la sua storia, 1985, Comune di Bollate
Marco Maggi, Bollate nel XX secolo, 1995, Il Melograno

 

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